[vediamo se sono riuscito ad eludere il "risparmiaspazio automatico" del forum]
Mi alzo in piedi mentre riempio l’ultimo bicchiere di vino.
Riappoggio la bottiglia vuota sul tavolo e bevo il sangue, sentendo il dolce aroma scendere nella gola.
Guardo Jasper, e con un gesto lo invito ad alzarsi.
Con Edward sarebbe stato un po’ più difficile, ma per evitare di rovinare la sorpresa libero la mente, concentrandomi sul sapore del sangue.
-Avvicinati…- dico.
Riappoggio il bicchiere vuoto, socchiudendo gli occhi ed inspirando.
Devo tenere la mente pulita, non devo pensare, il mio istinto basterà.
-Colpiscimi…- dico a Jasper.
Lui ovviamente mi guarda con stupore, -Come? Cosa intendi?-
Sospiro –Attaccami, cerca di colpirmi, di stendermi…-
Guarda per un attimo gli altri seduti alla tavola che ci guardano con curiosità e sospetto.
Abbasso lo sguardo, intravedo solo la sua ombra sul pavimento ed il suo corpo con la coda dell’occhio.
Si decide.
Fa un piccolo passo avanti e tenta di colpirmi con un gancio.
Percepisco il colpo abbastanza lento e debole per le sue capacità: si sta trattenendo.
Non che ciò fosse necessario…
Il mio corpo si muove da solo, la mia mente è vuota, completamente e totalmente incentrata al presente.
Non esiste il passato.
In fondo al mio pensiero, quel po’ di razionalità che non si può mettere a tacere, quella freddezza che impedisce al mio istinto di farmi agire come una bestia, pensa al futuro immediato, un paio di decimi di secondo avanti a quello che sto facendo.
La mia mano destra intercetta il suo pugno mentre mi piego in avanti, lasciando che il suo colpo vada a vuoto sopra la mia schiena.
Mi chino ancora di più ed alzo la mia gamba destra all’indietro.
Giro la mia mano, ancora a contatto con il suo polso e lo afferro, sbilanciandolo in avanti, nel preciso istante in cui il mio piede lo centra in pieno volto.
L’ho appena sfiorato, e barcolla per un istante cercando di capire cosa è successo.
Quando mi mette a fuoco io sono già tornato nella mia stessa posa di prima, con lo sguardo in basso.
Carlisle ed Alice sono già in piedi, pronti a reagire.
Edward è ancora seduto, evidentemente deve aver cercato di vedere i miei pensieri mentre mi basavo sul mio istinto.
-Che diamine fai?- mi chiede Carlisle, aumentando il suo tono più del solito.
-Vi mostro cosa so fare…- rispondo mentre controllo Jasper, ovviamente il mio colpo è arrivato esattamente con la potenza che volevo, avrebbe rotto il naso ad un umano, ma non ha causato alcun danno al mio avversario.
Si alza anche Emmet e fa un paio di passi verso di me –Non ci provare bello…- mi minaccia.
Li guardo uno per uno, soppesandoli.
-Come Euclide sta alla geometria, Come Dante sta alla Letteratura, io sto alla guerra. Sono stato abbracciato per raggiungere l’apice del combattimento, l’apoteosi dello scontro…-
Noto la curiosità di Jasper, Alice ed Emmet, contrapposta al quasi disgusto di Esme e Carlisle.
Rosalie non mostra particolari reazioni, come se avessi appena commentato il tempo fuori. Edward, ovviamente, mi mostra la sua ostilità, non so se mi teme, ma se fosse saggio lo farebbe.
Mi volto verso Carlisle ed Esme –Non disprezzatemi per le mie capacità, non provate disgusto, perché l’arte della battaglia è l’arte più varia e bella. Prima della scultura, della pittura, ancor prima della scrittura gli uomini studiavano tecniche di combattimento. Ed io sono il prodotto di questi millenni di studi, ma ancora non rendo onore alla mia arte-
Emmet ridacchia, forse emozionato, forse impaurito o semplicemente stupito dalla mia rivelazione. Si risiede, è il primo a reagire.
Con un sorriso, mi siedo anche io, ben sapendo di aver guadagnato prestigio agli occhi di qualcuno ed averlo perso agli occhi di qualcun altro.
Guardo Edward.
-Però tu sei qualcosa che non avevo mai visto… Puoi leggere nella mente… Sei solo tu o potete anche voi?- chiedo agli altri.
-Posso solo io- mi risponde subito lui -… anche se alcuni di noi hanno delle capacità speciali simili-
Lo guardo, interessato.
-Che tipo di poteri?-
Alice sorride al fratello e prende la parola –Io posso vedere il futuro… Le varie strade che può prendere il destino. Per questo sapevamo che eri alla stazione di polizia, ti avevo visto uccidere l’Ispettore Swan, ma per fortuna ho visto anche tu che riuscivi a trattenerti. Jasper, invece, può passare ai presenti le sue emozioni, calmando quando qualcuno è agitato o altre cose ancora-
Mi appoggio allo schienale mentre penso, stupefatto, portandomi una mano al mento.
-Forse non avendo una particolare capacità da amplificare il potere del vostro sangue è passato ad abilità meno accentuate. Avevo già visto qualcosa di simile al dono di Jasper, tipico dei condottieri e delle personalità carismatiche, ma mai nulla di simile ai poteri di Alice!-
Sto ancora pensando alle loro capacità quando Rosalie, rimasta silenziosa per quasi tutta la discussione, decide di cambiare argomento –Quindi, è per la tua attitudine al combattimento che il tuo nome d’arte è Ares? Non lo consideri eccessivo?-
La guardo, è bella anche per la natura di Vampira, mi piego leggermente in avanti, appoggiando i gomiti sul tavolo –pensa alla vostre abilità di combattimento. Quanti umani potreste uccidere da soli? Quaranta? Cinquanta? Pensate ora alla facilità con cui io posso sconfiggere un altro vampiro. Voi siete Dei agli occhi dei mortali, ed io, in fatto di battaglia, sono il massimo che la nostra condizione può offrire. Lasciamo la modestia per altri momenti. Potrei uccidere cento, duecento umani, magari anche armati, e loro potrebbero reagire solo scappando o accettando la morte. No, non credo che sia eccessivo. Su questa terra sono, effettivamente, il Dio della Guerra-
Come previsto, mi guardano come se fossi un folle, ma sono loro che non capiscono. Hanno potenzialità enormi, anche se non possono aspirare alla perfezione di un campo.
-Siete anche voi Dei, solo che avete deciso di considerare gli umani superiori a voi, nutrendovi di animali. Non che per la nostra natura noi dovremmo sbranare tutti gli umani che incontriamo, ma potreste aiutare il mondo a diventare un posto migliore. Con le vostre capacità potreste individuare assassini e criminali prima che compiano efferatezze, mentre io mi posso limitare solo a giudicarli ed eventualmente eliminarli. Talvolta la giustizia umana è inadeguata, e c’è bisogno di qualcuno che mantenga un equilibrio-
Carlisle inclina leggermente il capo –Vuoi dire che tu ti nutri solo di criminali? E se fossero innocenti? Perché ti consideri superiore ai giudici umani? Se loro non sono in grado di decidere una pena, perché lo fai tu?-
-Ma io non mi considero superiore, IO SONO superiore a tutti i giudici mortali, e tutti voi lo siete. Dovete solo capirlo. Noi siamo i formichieri e loro sono le formiche. La unica nostra possibilità è scegliere come comportarci. Io ho deciso di essere la giustizia. Ho deciso di raddrizzare i torti che queste dispettose formiche si fanno di continuo. Sono stato anche in Iraq ed Afghanistan , mi sono nutrito come non mai, ma alla fine me ne sono dovuto andare, poiché c’erano troppe ingiustizie, troppo dolore, troppi innocenti che soffrivano e non potevo fare nulla… Era troppo anche per me-
Ci fu silenzio per qualche secondo, interrotto poi da Alice –Quindi cosa fai qui? Qui non ci sono criminali o guerre… Magari nelle metropoli come New York o New Orleans potresti trovare le prigioni abbastanza affollate, ma qui a Forks…-
-Ero venuto in america non per nutrirmi, ma semplicemente per fare un viaggio da Turista. Si, lo so che sembra strano, ma ho l’eternità davanti a me, quindi non ho scuse per non visitare tutte le parti del mondo! Sono finito qui per puro caso e conoscervi è stato un fatto inaspettato. Qui a Forks, infatti, non c’è nulla per me-
Mi rendo conto solo ora che anche se non li conosco ho parlato così tanto con loro, forse avevo bisogno di qualcuno con cui parlare, sono solo ormai da quasi due settimane e ogni volta che mi siedo in auto trovo strano vedere il sedile di Jerome vuoto.
Ma non voglio più soffrire così.
Ho parlato con loro, ma so bene che mi disprezzano per ciò che sono, desiderano solo di poter tornare il prima possibile alle loro normali vite.
-Datemi il tempo di fare il pieno e mi toglierò subito dalle scatole, non vi darò più fastidio e non sentirete più parlare di me-
Mi alzo, afferro la bottiglia vuota che mi potrà sempre essere utile e prendo la mia valigetta.
Tutti non sanno cosa dire,e se ne stanno seduti, però guardano Edward, non me.
MI accorgo solo in quel momento che mi sta guardando non con il suo solito disprezzo, ma con una strana luce negli occhi, sembra quasi… Compassione?
-Ares, aspetta…- la sua voce è indecisa, come se si sentisse obbligato a dovermi parlare -… se vuoi, puoi restare per un po’…-
Ah, cavolo! Mi deve aver letto nella mente!
Odio essere compatito!
Non volevo che la storia di Jerome fosse pubblica…
-Non preoccuparti- mi dice –ti lascerò la privacy che meriti…-
Vuoi dire che non parlerai con nessuno di quello che hai visto nella mia mente?
Non voglio che si pensi che ho bisogno d’aiuto…
Lui annuisce.
E’ comodo dover parlare senza usare la bocca.
Sospiro, forse un po’ di compagnia nuova mi farà bene –Va bene, vi ringrazio, ma starò qui solo un paio di giorni, e prometto che non vi darò fastidio!-
Esme sorride ad Edward, ed Emmet ride, dandomi una pacca sulla spalla.
-Benvenuto in casa Cullen!-
Forse non starò così tanto male…Edward e gli altri erano appena tornati da scuola, sembrava fosse passato un secolo dall’incontro con Ares, invece era successo solo la sera prima, dopo aver portato la sua auto da loro si era allontanato, e non era ancora tornato.
Emmet si rivolse ai fratelli: -Ragazzi, ieri non sono riuscito a cacciare a dovere. Pensavo di andare a caccia…-
Gli altri si guardarono un po’ perplessi, Rosalie, in particolare era la più preoccupata.
-Suvvia, gente… Ora sappiamo che Ares non è una minaccia! Non c’è motivo di avere paura!-
Jasper fece spallucce ed annuì in direzione di Emmet –Ok, ti aspetteremo… Cerca di tornare prima di sera, o almeno facci sapere se tardi. Se no ti veniamo a cercare, eh!- gli sorrise.
Emmet rise leggermente –Non preoccupatevi! Credo di sapermi difendere!- si avvicinò a Rosalie, ancora un po’ restia a lasciarlo andare. e l’afferrò per i fianchi, appoggiando la sua fronte a quella di lei –tranquilla piccola, non succederà nulla…-
Alla fine anche lei si arrese –Amore… Va bene, ma ti prego, fa attenzione-
Dopo averle dato un bacio, Emmet salì sul suo fuoristrada, salutando i fratelli ed allontanandosi.
Anche se non voleva darlo a vedere, in fondo, era preoccupato anche lui.
Parcheggiò il fuoristrada a pochi chilometri da casa, deciso a non allontanarsi troppo.
Peter Mullins, un alunno del quarto anno aveva raccontato che qualcuno, quella notte aveva rubato i contrappesi dai trattori di suo padre.
Erano semplicemente delle lastre di piombo usate per impedire che i trattori si ribaltassero usando attrezzi molto pesanti. Chi avrebbe mai potuto usare mezza tonnellata di piombo? A cosa potrebbero mai servire?
Ne aveva parlato anche con gli altri, ed avevano discusso anche di Ares, ma cosa se ne sarebbe fatto?
Sceso dal Fuoristrada, Emmet decise di concentrarsi sulla caccia, sospirò, con gli occhi chiusi, lasciando che le sue percezioni raggiungessero i massimi livelli, poi scattò, correndo silenziosamente nella foresta.
La magnifica sensazione della caccia riempì il suo cuore, muovendosi silenzioso come un ombra e potente come non mai.
Nonostante corresse rapidamente i suoi sensi tesi percepivano ogni singola cosa intorno a lui, il cinguettio di alcuni volatili sopra la volta della foresta, il frusciare delle fronde mosse dal vento, il rumore prodotto da alcune lucertole che si nascondevano nel sottobosco al suo passaggio, il rosicchiare di uno scoiattolo dentro un tronco cavo… Poteva vedere il risplendere dell’umidità accumulata su alcune ragnatele tra gli alberi, splendenti come microscopiche autostrade di cristallo, e la luce del sole che passava tra le foglie, facendo sembrare che fosse intrappolato dentro un enorme smeraldo. Poi il profumo della terra, delle more sui rovi, il sapore della pioggia e il vento fresco sul viso, la montagna che si innalzava poco distante sopra la foresta. Il lontano martellare di un picchio sul tronco e… il rumore di ferro contro ferro…
Emmet si immobilizzò, concentrandosi su quel rumore, proveniva dalla direzione della montagna ed era lieve, occasionale, e non regolare.
Silenziosamente, si diresse verso l’origine del suono.
Arrivò in un piccolo spiazzo, in cui la foresta si incontrava con la roccia della montagna.
Gli alberi erano radi, addirittura assenti nei pressi di una parete di roccia di appena sei metri di altezza, che subito si trasformava nel fianco della montagna vero e proprio, con la sua vegetazione e la vita che si attaccava a quello strapiombo.
Attaccato ad una roccia ad un paio di metri da terra, stava Ares.
Le sue gambe erano piegate indietro, come se fosse in ginocchio nell’aria, per non toccare la parete. Le sue mani stringevano con forza la pietra, tanto che si potevano notare tracce del suo sangue secco sparse per gli appigli più bassi.
Aveva creato una specie di imbracatura con dei tubi d’acciaio, con la quale sosteneva, attaccati alla sua schiena, i pesi.
Lentamente si issava e si rilassava, facendo delle trazioni con cinquecento chili di piombo attaccati alla schiena.
Emmet era sbalordito, Ares non era corpulento o grosso, e sicuramente non massiccio come lui, eppure quella dimostrazione di forza lo colpì.
Lui sicuramente sarebbe riuscito a fare di meglio, ma non si aspettava che quel ragazzo dal fisico così snello possedesse una potenza simile.
Ares si issò per l’ultima volta, facendo tintinnare rumorosamente i contrappesi sulla sua schiena, poi si lasciò cadere, toccò il suolo con potenza eppure il suono che fece fu relativamente limitato, anche se i pesi sballottarono un po’.
Nascosto tra gli alberi, Emmet lo osservava, curioso.
Ares si voltò, incrociando il suo sguardo. Era convinto di essersi mosso con una silenziosità sublime, eppure lo aveva notato subito.
Togliendosi i pesi con qualche manovra complessa, Ares gli sorrise –Ti va di fare un po’ di allenamento?-
Emmet rise, avanzando nella radura con passo deciso –Certo! Voglio vedere che sai fare!-
Ares fece un leggero inchino con il capo –La stessa cosa vale per me, Emmet!-
Afferrò un peso da 75 chili e lo scagliò verso Emmet, che sollevò un braccio e lo bloccò a mezz’aria, indietreggiando in modo appena impercettibile.
Ares sorrise, alzando il pollice in segno di approvazione –Non male, non male davvero!-
Emmet lo guardò, poi gli ritirò il peso a sua volta.
Ares guardò il contrappeso di piombo volare nella sua direzione come un missile, rapido come un battito di cuore si spostò di lato, togliendosi dalla traiettoria del proiettile.
Il peso si schiantò con un boato contro la parete di roccia, sbriciolando alcune pietre.
Ares guardò il danno provocato dal contrappeso, ma quando si voltò nuovamente verso Emmet, questi gli era affianco –Non male, eh?-
Entrambi si misero a ridere.
Ares dimostrò il suo livello atletico veramente impressionante, ma ad ogni prova di forza, Emmet si faceva notare con la sua potenza mostruosa.
Era capace di sollevare la mezza tonnellata di piombo solo con il braccio sinistro.
Nella gara di salto erano più o meno alla pari, entrambi con un peso uguale sulla schiena cercavano di spiccare il balzo più alto, ma per quanto Emmet avesse forza, Ares era più adatto al salto, con il suo fisico longilineo ed atletico, eppure nessuno dei due riusciva ad imporsi sull’altro.
Ares vinse nella corsa e nella scalata, ma Emmet vinse ogni prova di sollevamento pesi o dimostrazione di forza.
Avevano sradicato anche alcuni alberi ed altri avevano il tronco ammaccato.
Avevano passato insieme quasi tre ore, divertendosi e misurandosi in continuazione, la loro competizione non li mise uno contro l’altro ma instaurò un legame, simile al cameratismo dei soldati.
Entrambi si misero a sedere, eppure non erano stanchi: la loro condizione non li faceva stancare mai. Avrebbero potuto correre alla massima velocità per giorni, senza mai perdere fiato o avere crampi.
Emmet respirò il profumo della foresta a pieni polmoni, poi rivolse la parola al suo compagno –Ares, ero venuto qui per cacciare e non voglio tornare a casa senza essermi riempito la pancia. Quindi non posso trattenermi ancora a lungo-
Il vampiro italiano si girò verso di lui –Va bene… Anzi… Se vuoi, potresti mostrarmi come si fa…-
Emmet lo guardò con aria interrogativa –Insegnarti? Mi sembra che tu sia un cacciatore almeno quanto me!-
Ares scosse il capo –non ho mai cacciato animali, non so come muovermi nelle foreste. Jerome si, lui cacciava qualsiasi cosa, ma preferirei aver qualcuno che mi faccia da mentore. Finché sono qui non voglio far nulla per mettere a repentaglio la vostra serenità… Per quanto possa fare…-
Emmet annuì, accorgendosi dell’importanza che Ares dava a quella richiesta.
-Va bene, lasciamo qui la roba, tanto torneremo a prenderla dopo… Vieni con me…-
Si alzarono e si avvicinarono alla foresta.
Ares guardò l’amico, che gli sorrise.
-Seguimi!-
Disse Emmet prima di scomparire tra le fronde, seguito dopo pochi istanti da un Ares particolarmente felice.
Lascio che i miei sensi si tendano come mi ha detto poco fa Emmet.
Ora è da qualche parte alla mia destra, nascosto dal sottobosco, ma posso sentire i suoi passi silenziosissimi.
Jerome non avrebbe fatto alcun rumore.
Lascio che la mia mente si liberi e mi immergo in tutto ciò che mi circonda.
Rallento la mia corsa fino quasi a fermarmi, mentre respiro a pieni polmoni un’aria inutile per la mia sopravvivenza.
Un brivido attraversa la mia pelle. Un brivido di piacere.
Sono libero, libero come non lo sono mai stato.
Man mano che i sensi e l’istinto prendono potenza, la mia libertà aumenta.
Finalmente libero da tutto e da tutti, nessun impedimento psicologico, nessun dolore, nessun rimpianto, nessuna morale.
Una lontana voce della mia mente, la mia razionalità, cerca di farmi capire che abbandonato così agli istinti potrei uccidere qualsiasi cosa mi capiti tra le mani.
Sento la mia mente offuscata gridarmi di mantenere il controllo.
Ma faccio ciò che mi ha detto Emmet, e mi abbandono completamente alla passione della mia caccia.
La corsa riprende più rapida che mai, nessuna guardia, nessuna attenzione frena i miei movimenti.
Corro più veloce di qualsiasi creatura vivente, sento una potenza mostruosa scorrermi nelle vene, molto più di quanta ne possa mai voler usare.
Odore di sangue giunge alle mie narici.
Fulmineo come un serpente scatto nella direzione pronto a uccidere.
Sento un rumore metallico ed un grugnito, poi lo vedo, un cinghiale intrappolato in una tagliola.
La mia corsa non rallenta, punto dritto verso di lui, la mia razionalità ormai si è arresa, capisco solo che presto farò terminare le sofferenze di quell’animale.
Il cinghiale si accorge di me quando ormai gli sono addosso.
Tenta disperatamente di difendersi con le sue zanne, ma lo blocco, afferrandone una con la mano destra prima di impattare contro il suo corpo.
Lo scontro tra noi è fortissimo, tanto che rotoliamo per terra per alcuni metri.
Solo quando lo sollevo per portarlo alla mia bocca mi accorgo che la sua zampa si è strappata ed è rimasta nella tagliola.
Poco importa.
Comincia appena a percepire il dolore che subito le mie zanne gli squarciano la gola, uccidendolo all’istante.
Tutta la rabbia ed il dolore accumulato negli ultimi tempi si concentra nella mia bocca nelle mie mani, mentre strazio il corpo senza vita del cinghiale.
Sto ansimando, lordo di sangue e satollo, quando Emmet mi raggiunge.
Sono seduto e la razionalità torna potente come il colpo di un maglio, mentre guardo le mie membra insanguinate e cerco traccia della carcassa del cinghiale, ma non c’è pezzo di carne o osso intatto che sia più grande di una spanna.
Emmet di fissa con stupore misto a paura.
Poi mi sorride, evidentemente dopo aver notato la mia espressione ancora più stupita della sua.
-Nervosetto, eh Ares?-
Imbarazzato per il mio comportamento abbasso il capo, grattandomi la testa -Scusa Emmet… E’ solo che… Non mi ero mai abbandonato ai sensi in questo modo!-
Inizialmente un po’ indeciso, poi sempre più sicuro, si avvicina a me, tendendomi una mano per aiutarmi ad alzarmi.
Accetto il suo aiuto per cortesia, più che per vero bisogno, anche se così sporco la sua mano del sangue del cinghiale.
Lui si guarda nuovamente intorno, rabbrividendo leggermente per la carneficina da me commessa.
Torniamo allo spiazzo d’allenamento senza parlare molto, più che altro descrivo le sensazioni nuove che ho provato nella caccia.
Scopro che anche Emmet è riuscito a soddisfare la sua sete, catturando un Grizzly che, da quel che ho capito, apprezza in particolar modo.
Il sole sta tramontando, mentre io nascondo sotto la vegetazione la mezza tonnellata di piombo che tra qualche giorno, quando me ne andrò, restituirò al proprietario.
Emmet guarda l’orologio al polso, sbuffando un po’, poi mi guarda -a che animale assomigli mentre cacci?-
Lo fisso incuriosito, non riuscendo a capire bene la sua domanda -come scusa?-.
Lui annuisce e sorride -ma si… Ognuno di noi caccia assumendo lo stile di un predatore! Tu sei riuscito a capirlo?-
Ridacchio mentre mi gratto il capo -no, non me ne sono neanche accorto! So solo che ho attaccato con una furia inimmaginabile… Ma non so se qualche animale possa fare qualcosa di simile!-
Mi guarda perplesso -si, forse hai ragione… va beh, studieremo la tua natura un altro giorno! Ora devo tornare a casa! Vieni con me?-
-Devi tornare a casa? Perché, si preoccupano? Il povero piccolo Emmet indifeso?- ridacchio mentre lo provoco.
Lui risponde subito -no, hanno paura di come potrei ridurti!-
Scoppio a ridere.
Ma non è una risata provocatoria, è semplicemente scaturita dal relax di questa situazione.
Da tempo non potevo scherzare così con qualcuno.
Gli do una pacca sulla spalla –Va bene, andiamo a casa!-
Ci incamminiamo spensierati verso casa Cullen, con l’animo insolitamente leggero.
Posso ancora sorridere, posso ancora provare gioia.
Grazie Emmet.
Grazie a tutti.[consiglio l'ascolto di "requiem for a dream" per il capitolo qui sotto
http://it.youtube.com/watch?v=KSY4Yi2ypno ]
Emmet ed Ares arrivarono a casa pochi minuti dopo il tramonto, giusto il necessario per mettere un po’ di agitazione nei cuori dei fratelli.
Ares era riuscito a ripulirsi dal sangue del cinghiale, per evitare troppe domande.
Entrarono in casa rapidamente e sorridenti, ora più rilassati dopo essersi nutriti del sangue animale.
Erano tutti seduti nel piccolo salotto, e dopo i convenevoli, Emmet andò rapidamente a sedersi nel suo solito posto.
Ares, invece, si sedette sullo sgabello del pianoforte, voltato verso gli altri.
Carlisle scrutò l’ospite, come a cercar di soppesar i suoi comportamenti –Dimmi, Ares… Come hai trovato il sangue degli animali? E’ veramente così cattivo?-
L’interpellato sorrise, accennando anche una piccola risata, per poi rispondere –Molto peggio! E’ la cosa peggiore che abbia mai provato! Diamine! Neanche il sangue dei tossici è cosi… cosi… blah!- fece una smorfia a sottolineare ciò che intendeva.
Jasper ridacchiò –Sai, è dura per tutti!-
Ma Carlisle riprese subito la parola, scuotendo il capo –Ma finché rimarrai qua è l’unico sangue che ti potrai permettere di bere! Non voglio veder spargimenti di sangue in questa città!-
Ares serrò le mascelle, il suo sguardo divenne serio, indecifrabile.
Edward era uno dei più distanti, ma poteva facilmente percepir la leggera rabbia presente nell’animo dell’ospite, non aveva mai permesso a nessuno di comandarlo, ma non reagiva.
Si limitò ad un semplice respiro profondo ed un -…Certo- pronunciato con voce bassa, sostenendo lo sguardo di Carlisle.
Alice decise di interrompere la tensione –Bene! Ares, perché non ci parli un po’ di te? Hai detto che sei Italiano… Allora perché sei arrivato qui a Forks?- questa domanda e molte altre assillavano la mente della vampira.
Ares si rilassò, appoggiando i gomiti sul pianoforte chiuso, dietro di se –Per un semplice “viaggio turistico”, io e Jerome volevamo vedere l’america, gironzolando un po’, sono finito qui…-
Ovviamente tutti si stavano facendo la stessa domanda, ma nessuno voleva porla. Un sorriso triste si dipinse sul volto di Ares, prima di scioglier ogni loro dubbio –Jerome è morto… Un Licantropo nel Nord del Canada lo ha fatto a pezzi… Ed io ho fatto a pezzi quel mostro…- disse quella frase senza troppe emozioni, come se stesse parlando di qualcun altro o descrivendo un film visto in TV.
-Abbiamo viaggiato dal Messico fino al Canada, ma dopo la perdita del mio compagno di viaggio decisi di tornare nel meno civilizzato Sud. Anche se il sole del Messico mi avrebbe permesso di uscire solo di notte, le sue prigioni sovraffollate e poco custodite sarebbero state una vera manna dal cielo per me! Però ho deciso di fermarmi qui, troppo assetato per sperare di riuscire ad arrivare a destinazione!- Una risata non molto divertita e breve segnò l’inizio della fase successiva –Ma qui a Forks non c’è nessun criminale degno di nota! Solo qualche ubriacone o ragazzino molesto!-
Nessuno della famiglia, però, sembrava compatire le sue sofferenze.
Decise di ignorare i presenti e si girò sullo sgabello, aprendo il pianoforte.
Lentamente, cominciò a suonare, era un Requiem, dolce, triste, ma al contempo dotato di un ritmo forte, deciso.
Non era sicuramente come uno dei capolavori musicistici di Edward, ma era dotato di una potenza melodica incredibile.
La famiglia Cullen rimaneva in silenzio, ad ascoltare la musica e cercar di penetrar i segreti di quel triste “Dio della Guerra”.
Edward chiuse gli occhi e si appoggiò allo schienale. Era un pezzo che aveva già sentito, “Requiem For a Dream”, ma era arrangiato in un modo personale. Entrò dentro la mente di Ares, e vi trovò non delle immagini precise, ma solo sensazioni una furia terribile, dolore, angoscia, ma la cosa che più lo sconvolse era che il pianista provava piacere in quelle sensazioni.
Adorava sentir la rabbia scorrere nelle vene ed il suo cuore morto da tempo cercar di pulsare per quelle emozioni. Sapeva che quel dolore infinito, che non combatteva, ma coltivava come fosse la cosa più importante, era la cosa che permetteva ad Ares di differenziarsi da un cadavere freddo, in una tomba.
La mente… O meglio, l’anima, di Ares era la cosa più complicata che avesse mai visto, un essere sconvolto dal dolore, ma che sfruttava quel dolore come combustibile.
Vide nella sua mente i tasti che premeva, un vecchio spartito in una casa ormai lontana che riportava le note della melodia, modificate molte volte. Poi vide un’altra persona, vicino al pianoforte, vestito di nero e dalla pelle scura, sicuramente il Jerome di cui tanto parlava.
Le immagini lasciarono il posto ad una bestia con il muso da lupo, sporca di sangue, che teneva tra le zanne un corpo mutilato ed irriconoscibile. Il ritmo della melodia stava crescendo rapidamente. Vide il lupo voltarsi verso di lui, ma vide la voglia di combattere del lupo scemare rapidamente, dopo i colpi che gli fracassavano tutte le ossa. Mani e piedi colpivano il corpo della bestia senza lasciargli neanche il tempo di ululare per il dolore.
Impressionato e paralizzato da quella furia, Edward si allontanò dai pensieri di Ares proprio mentre il ritmo melodico raggiungeva l’apice, per poi rallentare fino alla conclusione.
Tutti si erano resi conto della reazione di Edward, e guardarono tutti in direzione di Ares, fermo, con lo sguardo sui tasti.
Jasper deglutì per cominciar a parlare, voleva far un semplice complimento, ma l’ospite lo precedette. Si alzò dal piano e si diresse verso l’uscita.
-Scusate, ma devo andare… Ci vedremo…-
I Cullen si guardarono, mentre Ares si allontanava.
Alice socchiuse gli occhi –Seattle… Si sta dirigendo a Seattle… Non so cosa farà, ma credo faremmo meglio a seguirlo.-
Jasper annuì –Si, anche se sembrava calmo, potevo percepire la sua agitazione…-
Intanto la macchina di ares si allontanò sgommando.
Edward si alzò per primo –bene, preparo la macchina!-
C’era la famiglia al completo, un po’ sulla macchina di Edward, un po’ su quella di Rosalie.
Stavano girando per le strade di Seattle alla ricerca di tracce di Ares, ma era più dura di quanto pensassero.
Edward stava cercando nelle menti dei passanti da quasi mezz’ora, quand’ecco, finalmente, una traccia.
Vide il volto di Ares nella mente di un uomo, anche se non poteva vederlo.
Accostarono le macchine in un vicolo, nella zona malfamata della città, sapevano bene che se le avessero abbandonate li non le avrebbero trovate al loro ritorno, così Rosalie ed Esme rimasero a far la guardia.
Forse la presenza di due ragazze non avrebbe certo convinto dei malintenzionati ad andarsene, ma sicuramente una dimostrazione di forza delle due avrebbe fatto desistere chiunque.
Gli altri arrivarono davanti ad una vecchia porta di ferro, con uno spioncino, guidati da Edward.
Inspirando, bussò.
Lo spioncino si aprì, rivelando gli occhi di un nero –Hey, ragazzino, vattene! Questo non è un posto per te!- esclamò subito, ma Edward lo fissò e, lentamente ma con decisione, pronunciò la parola d’ordine che aveva letto nella mente dell’uomo per entrare in quel Club privato –I soldi fanno la felicità, eccome!-
Gli occhi misteriosi controllarono uno per uno i membri della famiglia, soffermandosi un po’ di più su Emmet. Poi la porta si aprì con un cigolio.
I vampiri entrarono senza farsi pregare e passarono di fianco al grosso e muscoloso nero che era alla porta. Scesero delle strette scale, mentre una musica bassa ma martellante cominciò a giungere alle loro orecchie.
Arrivarono in un grande locale, illuminato da luci rosse al centro e blu lungo le pareti. Una cappa di fumo ricopriva tutto, in un angolo, un bancone di un bar pieno di tutti i liquori possibili ospitava svariate persone, alcune stese per terra dopo aver bevuto un po’ troppo.
Al centro della sala c’era una calca di persone rumoreggianti, intorno ad una grossa gabbia, con svariate banconote tenute in aria.
La gabbia era in realtà un grosso ring, all’interno di cui due persone stavano combattendo.
Alice allontanò con una spinta un ubriaco che si era avvicinato troppo a lei, mentre gli sguardi dei ragazzi vagavano sulla folla e lungo i tavoli, cercando il Vampiro.
Edward, però, sapeva bene dove cercare, anche senza usare il suo potere, e si limitò a seguir gli sguardi della gente, verso il centro della gabbia.